“ANTONIO E CLEOPATRA”
di William Shakespeare
Tradotto e diretto da Marco Ghelardi
con Ilaria Di Luca, Davide Iacopini, Paolo Li Volsi, Dario Manera, Edoardo Ribatto, Roberto Serpi, Mariella Speranza, Marco Taddei
scene e costumi Lorenza Gioberti
luci Aldo Mantovani
assistente alla regia Simona Schito
organizzazione Sara Ravetta
assistente di compagnia Marianna Fernetich assistenti alle scene Cristina Ferraro, Alessio Meloni assistenti ai costumi Eleonora Masetti, Ottavia Trama
Foto di Davide Arena
Produzione Compagnia Teatrale Salamander
Debutto ottobre 2008 Teatro Chiabrera Savona
IX edizione Festival Shakespeare in Town!
Tragedia scritta verso la fine della carriera, dopo Macbeth e per la stessa coppia di attori, testimone del suo fascino verso la storia di Roma, Antonio e Cleopatra narra della guerra civile fra Marc’Antonio e Ottaviano per dominare la Repubblica dopo la morte di Giulio Cesare. Sennonché in questa guerra si inserisce l’amore per la regina d’Egitto, Cleopatra.
Antonio e Cleopatra non perdono occasioni di declamare versi spinti all’estremo retorico per definire se stessi superiori al resto del mondo: si costruiscono un’illusione che sarà la loro rovina. Persone normali in circostanze straordinarie, cercano di separare se stessi dal mondo ma quel mondo di continuo rientra sulla loro scena, sotto forma delle ancelle della regina, che sembrano fatue ma non lo sono, Enobarbo, che sembra cinico ma non lo è, Pompeo che sembra minaccioso ma non lo è, Proculeio che sembra degno di fiducia ma non lo è, Agrippa che sembra intelligente ma non lo è, Eros che sembra debole ma non lo è…
Mai come in nessun altro testo di Shakespeare è proprio la fludità e la continuità del mondo ad essere protagonista. I molteplici personaggi sono rappresentati con la velocità di Tiepolo, l’impatto di Monet e la precisione di un bassorilievo di una cattedrale romanica per ricordarci che il mondo prosegue ed esiste oltre a tutti i nostri tentativi di controllarlo e di gestirlo.
E, sorpresa!, il cinismo è uno di questi tentativi.
Note di regia
La vasta tragedia che Shakespeare dedica all’amore di Marc’Antonio e Cleopatra pone prima di tutto la sfida di raccontare nei limiti di una serata teatrale un intreccio quanto mai complesso e articolato. Abbiamo raccolto questa sfida con la sempre maggior consapevolezza della nostra proposta estetica sviluppata insieme al nostro pubblico in quattro anni di “Shakespeare in Town!”. Siamo partiti dalla semplice constatazione che i testi scespiriani sono prima di tutto delle belle storie che seguiamo perché vogliamo vedere cosa succede dopo, e che queste storie sono da raccontare usando gli attori, lo spazio e l’immaginazione del pubblico. Nel lavoro specifico su “Antonio e Cleopatra”, ci si è pian piano rivelato il disegno originale ed eversivo che Shakespeare aveva tracciato sotto alla storia originale di Plutarco. Quella che per lo scrittore greco era la parabola della caduta di un grande uomo a causa della sue femminee debolezze personificate in Cleopatra, nella mani del drammaturgo inglese diviene la storia dell’amore mancato fra due persone che dovrebbero vivere vite normali e invece vivono vite impossibili perché accecati dalle proprie illusioni. Antonio e Cleopatra fanno di tutto per essere protagonisti di una tragedia e invece la loro vicenda si svolge in scene spesso comiche, eccessive, paradossali. Perché l’essenza profonda del racconto fosse comunicata appieno, abbiamo dovuto sgombrare il campo da qualsiasi esotismo di maniera, egizio o romano, situando la vicenda in un contemporaneo senza tempo. Intorno ai protagonisti si muove il mondo, coinvolto e indifferente, eroico e meschino. Questo affresco può ricevere i suoi veri colori solo abbandonando le tradizionali categorie di tragedia e commedia e il loro pesante bagaglio di aspettative, anche e soprattutto da parte nostra nell’ assemblare lo spettacolo. Mi preme sottolineare l’eresia di questa nostra proposta artistica nell’attuale panorama teatrale italiano del teatro testuale. Vista la miseria dell’ortodossia teatrale contemporanea, non possiamo che essere felici di qualificarci come eretici.
Marco Ghelardi